Home » «I miei giorni a Brancaccio con Padre Puglisi» il racconto di Giuseppe Carini scritto da Roberto Mistretta
Scrittore ed Editor - Fondatore di Navigando Parole
Se sei alla ricerca di una storia vera di resistenza civile contro la mafia, capace di emozionarti, sconvolgerti e lasciarti un messaggio duraturo, il libro “I miei giorni a Brancaccio con Padre Puglisi” di Roberto Mistretta è esattamente quello che ti serve.
Non si tratta di un semplice resoconto di cronaca, né di una biografia canonica. Questo libro è un racconto corale e intimo allo stesso tempo, che attraversa la Palermo degli anni ’90 e ci fa vivere in prima persona il “miracolo scomodo” di Don Pino Puglisi e il difficile percorso di Giuseppe Carini, ragazzo di Brancaccio diventato simbolo di una rinascita possibile.
«Crescere a Brancaccio era come camminare in equilibrio su un filo: bastava poco per cadere. Ma bastava anche una mano tesa per rialzarsi.»
Per capire la potenza narrativa e civile di questo libro, bisogna partire dal contesto. Brancaccio non è solo una periferia qualunque: è un quartiere marchiato dalla presenza della mafia dei fratelli Graviano, dove la legge del più forte scandisce le giornate e la parola “legalità” sembra più una minaccia che una speranza. Qui, crescere da “uomo d’onore” non è una scelta, ma il destino che il quartiere impone ai suoi ragazzi, privati di futuro, di opportunità, persino della capacità di sognare.
«La mafia ti seduce quando hai bisogno di sentirti qualcuno. E a Brancaccio, sentirsi qualcuno, anche solo per un giorno, sembrava già un miracolo.»
Mistretta ci restituisce il ritratto vivido di questa realtà senza mai cedere alla retorica. La mafia è ovunque: nelle parole, nei silenzi, nei gesti quotidiani, nell’assenza dello Stato e nel bisogno di appartenenza. Eppure, è proprio in questo “deserto civile” che arriva Don Pino Puglisi, un prete diverso da tutti gli altri.
La grandezza di questo libro sta anche nel modo in cui viene raccontata la figura di Don Pino Puglisi. Non un eroe o un santo da icona, ma un uomo normale che sceglie di dire “sì” dove altri sette avevano detto “no”. Puglisi non cerca scorciatoie, non lancia sermoni, non offre soluzioni facili: crea alternative, una piccola alla volta, mettendosi sempre in gioco in prima persona.
«Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto.»
La vera grandezza di Don Pino Puglisi emerge nella sua normalità. Non è un supereroe: è un uomo che decide di esserci dove nessuno vorrebbe stare. Non predica scorciatoie, non promette miracoli facili. Chiede solo “un’ora a settimana”, e in quell’ora mette tutta la sua umanità.
Mentre il quartiere è sotto il dominio dei Graviano, Puglisi decide di strappare i ragazzi alla mafia attraverso la proposta più “rivoluzionaria” che ci sia: “Solo un’ora a settimana”. Un’ora di tempo, di gioco, di ascolto. Così nasce l’Associazione Sportiva San Gaetano-Brancaccio, un laboratorio di legalità e speranza dove bambini e adolescenti imparano a fidarsi di se stessi e degli altri, a credere che il cambiamento sia possibile, anche se costa fatica e dolore.
«Padre Puglisi non ci ha mai chiesto di essere eroi, ma solo di esserci. Di essere presenti, un’ora alla settimana. E in quell’ora abbiamo scoperto un mondo nuovo, un mondo possibile.»
La testimonianza di Giuseppe Carini è l’altra colonna portante del libro. Ragazzo di strada, “figlio” del quartiere, Carini racconta senza filtri la tentazione di diventare mafioso, il fascino perverso dell’illegalità, la paura di essere diverso. Senza l’incontro con Puglisi, il suo destino sarebbe stato segnato: “O con la mafia, o dietro le sbarre, o dissolto nell’acido”.
Ma l’incontro con Don Pino cambia tutto. Da semplice volontario, Carini diventa presidente dell’associazione, guida per i più giovani e infine testimone di giustizia. Il suo racconto è crudo e onesto:
“Essere testimone significa scegliere ogni giorno di pagare un prezzo, anche quando lo Stato ti lascia solo”.
Mistretta riesce a dar voce alle sue paure, ai momenti di solitudine, alla fatica di non poter più tornare indietro, ma anche all’orgoglio di aver scelto la strada più difficile e vera.
Se ti aspetti un libro di denuncia tradizionale, qui troverai molto di più. “I miei giorni a Brancaccio con Padre Puglisi” è un’opera ibrida: cronaca e romanzo civile, memoir e saggio di formazione.
Mistretta scrive con uno stile diretto e partecipato, mai distaccato: le sue domande e riflessioni si intrecciano a quelle di Carini, restituendo un quadro che non cerca la commozione facile, ma invita alla responsabilità collettiva.
Il messaggio che attraversa il libro è chiaro: i miracoli non sono magie che ci tolgono dai guai, ma atti di coraggio che ci mettono davanti alle nostre responsabilità. La vera forza di Puglisi non è aver “salvato” Brancaccio, ma aver acceso un dubbio e una speranza, spingendo altri a continuare il suo esempio.
Questo libro è imprescindibile per chi vuole approfondire la storia della mafia e dell’antimafia siciliana, ma anche per chi lavora con i giovani, con la scuola, con le periferie.
La figura di Don Puglisi emerge in tutta la sua umanità e modernità: non un martire solo “in odio alla fede” (come lo ha riconosciuto la Chiesa nel 2012), ma un testimone laico di giustizia, di coraggio e di ostinazione civile.
La vicenda di Carini parla a tutti coloro che credono che non sia mai troppo tardi per cambiare, anche se il prezzo da pagare è alto.
Leggere “I miei giorni a Brancaccio con Padre Puglisi” non è solo un atto di memoria: è un invito concreto a fare la propria parte.
Il libro, pubblicato dalle Paoline, è una lettura intensa e necessaria: fa arrabbiare, commuove, scuote e spinge all’azione.
Non lascia scuse: se ognuno fa qualcosa – anche solo un’ora a settimana, come diceva Puglisi – allora davvero si può fare molto.
Non aspettare: leggi il libro, condividi la storia, diventa anche tu parte del cambiamento.
Parlane, regalala, porta il messaggio di Don Puglisi dove ancora sembra impossibile credere nei miracoli.
“Perché tra tutte le armi della mafia, la più potente è il silenzio. E la risposta più grande, ancora oggi, resta il coraggio di spezzarlo.”